"Siamo nel mezzo di una tempesta perfetta. Non ci resta che sperare nella saggezza del presidente della Repubblica". A pochi giorni dal clamoroso verdetto delle urne, ilLibraio.it ha incontrato Luciano Fontana, in libreria con un saggio dal titolo inequivocabile, "Un Paese senza leader". È stata l'occasione per fare il punto sui possibili scenari in questa delicata fase politica e per parlare del ruolo del giornalismo ("Nei prossimi mesi dovrà dimostrare serietà raccontando il nuovo, ma dovrà anche essere rigoroso e severo nei giudizi"). Nell'intervista spazio per il progetto La Lettura e per le passioni letterarie del direttore del Corriere della Sera
“Venticinque anni di Seconda Repubblica ci consegnano un sistema politico ai limiti del collasso (o dell’impazzimento, dipende dai punti di vista)”. Lo ha scritto, prima di conoscere i risultati delle elezioni, il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, in un saggio dal titolo inequivocabile, Un Paese senza leader, in libreria per Longanesi.
Nell’editoriale post-elettorale, in cui ha commentato il clamoroso verdetto delle urne, Fontana ha aggiunto: “Domenica 4 marzo è finito il mondo della politica italiana che abbiamo conosciuto negli ultimi venticinque anni. Le divisioni tra destra e sinistra quasi non esistono più nelle urne. Il centrosinistra precipita in un abisso inimmaginabile fino a qualche mese fa. Berlusconi, il capo indiscusso dei conservatori, l’uomo che con la sua discesa in campo e il rapporto diretto con gli elettori aveva dominato sempre la scena, viene sconfitto nella competizione interna da Matteo Salvini, il leader che ha cambiato pelle alla Lega. I Cinque Stelle, affidati dal comico fondatore Beppe Grillo a Luigi Di Maio, ottengono un grande successo proprio quando decidono di uscire dal recinto della semplice protesta…”.
Un passo indietro. Nato a Frosinone, classe ’59, Luciano Fontana è direttore del Corsera dal primo maggio 2015, quando ha preso il posto di Ferruccio de Bortoli, ed è in via Solferino dal 1997. Dopo la maturità scientifica, si è laureato in filosofia alla Sapienza, discutendo la tesi (su “Linguaggi ordinari e linguaggi formali in Karl Popper”) con Tullio De Mauro. La carriera nel giornalismo comincia come corrispondente dell’Ansa dalla sua Frosinone; nel 1986 arriva l’assunzione, come praticante, all’Unità (Fontana si era impegnato nella FGCI della sua città), allora diretta da Emanuele Macaluso. Dopo 11 anni in cui si occupa di cronaca e politica, Veltroni lo nomina caporedattore centrale.
Nel suo libro Fontana ripercorre “storie, protagonisti e retroscena di una classe politica in crisi”, soffermandosi sui protagonisti dell’ultima tornata elettorale, a partire da Silvio Berlusconi, passando per il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi, per quello leghista Matteo Salvini e per il candidato del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio.
Incontriamo Fontana nel suo ufficio in via Solferino, a Milano, nel bel mezzo di giorni confusi, segnati dall’incertezza e dai dubbi per quel che aspetta l’Italia nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.
Come lei ha sottolineato, dopo il 4 marzo “niente sarà più come prima”. Si torna al titolo del suo saggio, Un Paese senza leader. Premesso che “nessun partito e nessuna coalizione ha i voti per governare in solitudine”, in questa fase precaria l’Italia avrebbe proprio bisogno di una guida…
“Sì, ma la realtà è che siamo nel mezzo di una tempesta perfetta. Privi di leader, non ci resta che sperare nella saggezza del presidente della Repubblica”.
Cosa le ricorda questa fase?
“A livello di impatto, forse il ’92-’93, quando con Mani Pulite fu azzerata la classe politica protagonista della Prima Repubblica”.
Qual è il risultato che l’ha più sorpresa domenica?
“Quello in Sicilia”.
Perché?
“Solo pochi mesi fa il centro-destra, che in Sicilia è storicamente forte, si era imposto. Invece, il 4 marzo i 5 Stelle hanno ottenuto un risultato clamoroso”.
Lei ora si augura che Mattarella riesca ad “assicurare stabilità all’Italia con un esecutivo sostenuto da numeri sufficienti”. Un cammino stretto e difficile, “ma l’unico percorribile”. Si sente di fare previsioni?
“Ci sono due strade davanti: la prima vede un accordo tra i 5 Stelle e un Partito Democratico che, sostituito Renzi, decide di provare a governare insieme per salvare, seppur temporaneamente, la legislatura. Magari valutando accettabili determinate proposte economiche”.
Un’ipotesi non semplice da mettere in pratica, viste le dichiarazioni di Renzi e di altri esponenti del Pd…
“Sì perché a seguito di un eventuale accordo con il Movimento 5 Stelle il Partito Democratico si porrebbe in una posizione subordinata e la sua stessa esistenza sarebbe a rischio. Da questo punto di vista Renzi sta dimostrando una certa coerenza: ha fatto tutta la campagna elettorale contro i 5 Stelle e conosce i rischi che correrebbe il Pd accettando un accordo in questa fase…”.
Passiamo al secondo scenario.
“Preso atto dell’impossibilità di formare un nuovo governo, il Capo dello Stato potrebbe offrire una proposta più neutra, il cosiddetto ‘governo del presidente’, che dovrebbe fare pochissime cose. Una su tutte: una nuova legge elettorale, per tornare al voto in tempi brevi. Francamente non vedo altre strade”.
Che fine farà il bipolarismo?
“L’idea stessa di bipolarismo, che in Italia ha resistito davvero poco, va ripensata”.
Del resto oggi la sfida non è più tra centro-sinistra e centro destra.
“No, le divisioni tradizionali sembrano sparite: da un lato c’è un bipolarismo geografico, con la preoccupante divisione tra Nord e Sud; dall’altro, il bipolarismo sembra correre lungo l’asse globalizzazione-chiusura”.
Facciamo un passo indietro. L’ultima tornata elettorale ha portato alla sconfitta sia di Renzi sia di Berlusconi.
“Le elezioni hanno visto uscire fortemente ridimensionati quei leader, o meglio quei capi di partito, protagonisti della Seconda Repubblica. Allo stesso tempo, resta il punto interrogativo sui presunti nuovi leader, Di Maio e Salvini”.
A quali dubbi si riferisce?
“Siamo sicuri che Di Maio avrà la capacità di tenere unito il suo elettorale, al momento radicato soprattutto nella protesta? E il segretario della Lega saprà interpretare l’esperienza di governo? In altri casi, penso alla Francia, la destra nazionalista non è riuscita nell’impresa…”.
Concentriamoci sul dopo-Renzi. Sarà Calenda, Ministro dello Sviluppo economico, a rilanciare il centro-sinistra? O toccherà a Gentiloni provare a ricostruire quell’area?
“Quel che è certo è che sono le personalità, non dico i leader – perché ancora devono dimostrare di essere tali -, a cui il centro-sinistra proverà ad affidarsi. Hanno caratteristiche diverse: Calenda ha tratti simili a Renzi, mentre Gentiloni forse interpreta di più una fase in cui c’è bisogno di rimettere insieme, di ricostruire”.
A proposito di rimettere insieme, l’esperienza di Liberi e Uguali potrebbe presto chiudersi…
“Sì, visti i risultati, e con la probabile uscita di scena di Renzi una figura come quella di Gentiloni potrebbe riavvicinare le parti”.
Sarà un percorso accidentato?
“Quando arrivano sconfitte del genere, non è affatto detto che il blocco politico e sociale regga. Mi riferisco al Pd. Ho sentito dire a Eugenio Scalfari che il nuovo segretario della sinistra sarebbe Di Maio… ecco che già cominciano a entrare in campo dinamiche e variabili che non si sa dove porteranno. Di certo, inizia uno dei periodi più delicati di tutta l’esperienza del centro-sinistra italiano, nelle sue tante configurazioni”.
Il sistema politico, come scrive nel suo saggio, è sull’orlo del burrone: ma che ruolo dovrà svolgere il giornalismo italiano nei prossimi mesi? A questo proposito, negli Usa la più che discussa presidenza Trump ha ridato vigore ai giornali: in Italia potrebbe accadere la stessa cosa?
“Abbiamo vissuto una campagna elettorale assurda, fatta in gran parte di promesse infattibili… nei prossimi mesi il giornalismo dovrà dimostrare serietà raccontando il nuovo, ma dovrà anche essere rigoroso e severo nei giudizi, e non dovrà avere pregiudizi. I giornali potranno avere un ruolo importante, e un pubblico in crescita, sia in edicola sia online”.
Nel libro sottolinea “l’estrema superficialità dell’odierna comunicazione politica”. Visto il suo passato da cronista, ha nostalgia del suo mestiere nell’era pre-social?
“Ho nostalgia di un giornalismo accurato, non urlato, ma allo stesso tempo sono convinto che il buon giornalismo possa vivere anche sul digitale, che offre straordinarie potenzialità”.
Cambiamo tema: dal 2011 è tornata in edicola La Lettura: perché per un quotidiano come il Corriere è importante investire in un progetto di questo tipo?
“Senza far torto ad altri progetti, credo che quello del nostro supplemento culturale sia quello a cui sono più affezionato. C’era la falsa convinzione che il pubblico della cultura fosse limitato, invece la formula de La Lettura, in cui hanno un ruolo importante il dibattito delle idee e la contaminazione dei linguaggi, ha dimostrato che non è così. Negli anni si è creata una comunità di lettori, di cui andiamo orgogliosi”.
Chiudiamo con le sue passioni da lettore.
“Per lavoro tendo a leggere saggistica, ma quando posso scegliere un libro per piacere preferisco la letteratura, quella americana in particolare”.
Quali autori in particolare?
“Paul Auster, Richard Ford, Don DeLillo… ma amo anche i romanzi della scrittrice francese Fred Vargas”.
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Fonte: www.illibraio.it
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