Questione di ritmo

Redazione Il Libraio | 26.11.2007

Intervista a James Patterson autore di Qualcuno morirà ISBN:9788830424913


Qualcuno morirà, nuovo titolo di James Patterson per la serie “Donne del Club Omicidi”, vede il ritorno a San Francisco di Lindsay Boxer e riconferma la presenza della giovane e brillante avvocatessa Yuki Castellano. Ed è proprio Yuki a portare la nuova sfida criminale: sua madre, dopo un intervento apparentemente banale, muore in uno dei più famosi ospedali della città. C’è qualcosa di sospetto e sinistro nella mancanza di collaborazione che Lindsay e Yuki incontrano quando vogliono far luce sull’accaduto. Presto emergono altri decessi avvenuti per strane fatalità, ma la direzione dell’ospedale è disposta a tutto pur di salvaguardare il nome dell’istituto E questo non è l’unico caso che le quattro amiche devono affrontare: negli stessi giorni, per le vie di San Francisco, un serial killer ha iniziato a uccidere giovani donne, seviziandole e abbandonandole all’interno di auto di lusso. Abbiamo chieato all’autore di raccontarci qualcosa del mestiere di scrittore e del suo nuovo romanzo.

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D. Ho letto una bella similitudine a proposito dei suoi romanzi, ovvero: “Se il romanzo di intrattenimento fosse una macchina, i libri di James Patterson sarebbero delle Porsche”. Quindi i suoi romanzi avrebbero una meccanica perfetta e una velocità scattante. Ci può raccontare qualcosa del suo stile di scrittura? La scelta di capitoli brevi è intenzionale?

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R. I capitoli brevi sono fatti un po’ volontariamente e un po’ involontariamente. Questo mio stile, decisamente caratteristico, è nato perché agli inizi, quando lavoravo ancora nel settore pubblicitario, scrivevo alla mattina presto, prima di andare al lavoro, quindi il capitolo breve era nato come una necessità. Poi mi resi conto che quello stile mi piaceva perché era diretto, immediato. E soprattutto piaceva alla gente. È come un pacchetto di patatine fritte: una tira l’altra. Ancora un capitolo, e un altro, e un altro, e un altro… Una volta accortomi che lo stile funzionava, l’ho mantenuto. Diciamo che è stata una scoperta accidentale, un po’ come una mela che ti cade sulla testa.

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D. Quindi il pubblicitario ha insegnato qualcosa allo scrittore?

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R. Gli ha insegnato a entrare in contatto con le persone, a intuirne i pensieri. Facendo spot lunghi pochi secondi ho capito che le persone oggi non hanno tempo ed è inutile proporre loro libri dai capitoli interminabili, perché le opere lente non vengono lette. Pensiamo alla coppia media americana, in cui marito e moglie lavorano. Uno torna a casa, gli viene voglia di leggere qualcosa, prende in mano un libro, vede un capitolo di quaranta pagine e lascia subito perdere. Ma coi miei libri uno dice; “Ah, tre pagine, OK… be’ altre tre, d’accordo…”. Perciò anche se il mio romanzo è lungo più di trecento pagine, l’ho spezzettato in tanti brevi capitoli, così come ho fatto per tutti gli altri. La differenza è che quando scrivevo per la pubblicità mi sentivo un po’ frustrato: magari facevo un magnifica headline che consegnavo al mio capo, e dopo che tutti l’avevano riveduta e corretta, non mi riconoscevo più in quello che ne restava. Nella narrativa invece è molto diverso: si risponde solo a se stessi.

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D. Cosa rappresenta per lei la scrittura? La concepisce soprattutto ad uso e consumo del lettore?

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R. Il 70 % dei miei lettori sono donne: quello che piace loro è il ritmo, veloce e serrato. Pur non trascurando l’aspetto psicologico, il mistero da risolvere resta sempre il vero centro del racconto. Io voglio raccontare storie come se il lettore fosse seduto di fronte a me. Voglio interessarlo in modo che non decida di alzarsi e andarsene. Mi piace l’idea che ci sia gente che fa un viaggio in aereo o che passa una serata in casa leggendo un mio libro. Ecco: vorrei che sulla mia tomba venisse scritto: Qui giace un uomo che ha divertito la gente.

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D. Quando è nata la sua passione la scrittura?

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R. Nel 1971 studiavo a Cambridge, vicino a Boston. Mi servivano soldi e così andai a lavorare in un ospedale psichiatrico fuori città. Nella maggior parte dei casi avevo il turno di notte. Per cui andavo a Cambridge tre volte la settimana solo per comprarmi qualche libro da leggere durante quelle notti. Fu così che divenni un lettore vorace, cosa che prima non ero, anzi! Dopodiché fui incoraggiato da un mio professore e cominciai a scrivere racconti. Il primo romanzo che scrissi, e che non è mai stato pubblicato, era un romanzo umoristico. Mentre il primo ad essere pubblicato, dopo essere stato però rifiutato da ben trenta editori, fu The Thomas Berryman Number, che nel 1976 vinse il premio Edgar come miglior romanzo giallo di esordiente. Una bella soddisfazione, soprattutto nei confronti di certi editor!

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D. Quali sono i suoi riferimenti letterari?

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R. Ernest Hemingway diceva sempre che il suo punto di riferimento era Cezanne. Io non posso parlare di un solo maestro in particolare. Amo molto Beckett, Camus, Genet: loro mi hanno certamente influenzato. Da ragazzo non leggevo mai libri commerciali, finché non ho scoperto L’Esorcista e Il giorno dello sciacallo, mi sono appassionato e ho pensato: “Anch’io vorrei scrivere qualcosa di simile!” Oggi invece leggo moltissimi quotidiani: New York Times, Wall Street Journal, USA Today e New York Post: confrontandoli tra loro ne vengono fuori moltissimi stimoli. E poi leggo un po’ di tutto, soprattutto romanzi.

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D. Quali consigli darebbe a un aspirante scrittore?

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R. Di partire sempre dalla migliore storia orale che conosce: nella maggior parte dei casi la storia avrà un buon inizio e una buona fine. Il mio consiglio successivo è quello di scrivere questa storia imparando a tagliare tutti gli elementi estranei. Supponiamo che io voglia scrivere una storia in cui, tornando in hotel, trovo mia moglie assassinata nel letto. Non posso passare le successive dieci pagine a descrivere nel dettaglio l’arredamento della stanza. Il lettore si aspetta subito di sapere che cosa succede dopo.

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D. In Qualcuno morirà, Lindsay e Yuki tornano di nuovo in azione. Vuole raccontarci qualcosa?

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R. Mi piace moltissimo scrivere libri per questa serie, ancora più che per quella di Alex Cross, anche se questo personaggio lo sento vicino per molte affinità di carattere. Spero di poter scrivere tante altre storie della serie Donne del Club Omicidi, almeno finché non mi stancherò dei personaggi o magari dell’ambientazione, San Francisco, che al momento è una città che adoro. Per me gli omicidi più spaventosi sono quelli che accadono nei posti dove non dovrebbero accadere, come per esempio nell’ospedale di Qualcuno morirà. In effetti non mi interessa più di tanto il realismo; mi interessano invece gli incubi, e non quelli letterari, ma quelli che sento serpeggiare nel mondo in cui viviamo oggi.

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D. Se potesse cambiare qualcosa della sua carriera, cosa cambierebbe?

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R. Se potessi aggiustarne la traiettoria, vorrei che tutto quanto fosse successo quando avevo trentadue anni e non cinquanta: così avrei potuto incontrare e sposare Sue, mia moglie, quando ne avevo trentacinque, però con il successo di oggi!

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Fonte: www.illibraio.it

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