“I miti celtici”: non i soliti cavalieri della Tavola Rotonda

Stefano Risso | 24.10.2021

Una popolazione affascinante, la cui Storia è inevitabilmente legata alla leggenda, ricca di personaggi ed episodi fantastici, immersa nelle atmosfere di un mondo incantato e incredibilmente coabitato da esseri umani e fatati. La racconta "I miti celtici" di T. W. Rolleston, un’antologia letteraria da studiare con la precisione del filologo e lo stupore del bambino... - L'approfondimento


I racconti di una civiltà che è passata alla Leggenda, ancor prima che alla Storia; in questa nuova edizione del classico di inizio novecento I miti celtici di T. W. Rolleston, traduzione di Elena Campominosi, Longanesi propone ai lettori una ricchissima raccolta di narrativa anglo-celtica – e relativa interpretazione – ideale per identificare, fra i passaggi scelti della produzione letteraria, le matrici culturali di una popolazione affascinante, assolutamente riconoscibile quanto ad ambientazioni ma ancor oggi da scoprire in punto di diffusione.

Ma chi erano, dunque, questi Celti? “Bisogna abbandonare l’idea che il mondo celtico sia mai stato abitato da un’unica razza pura e omogenea”, sottolinea l’autore all’inizio del testo, “uomini alti e biondi, autoritari e guerrieri (…) avevano esteso il loro dominio su tutta l’Europa centrale, sulla Gallia, sulla Spagna e sulle Isole Britanniche”.

i miti celtici rolleston

Non i soliti Cavalieri della Tavola Rotonda, insomma; a prescindere, infatti, dalle più classiche caratterizzazioni di stampo medievale (il Ciclo arturiano e il Mabinogion gallese, fra le altre) la compagine celtica costituiva, piuttosto, un gruppo composito dalla chiara provenienza indoeuropea, di certo non organizzato secondo le regole di una città-Stato ma comunque amalgamato sia per radici linguistiche che per attitudine migratoria. Una civiltà primordiale, dunque, la cui presenza in Europa potrebbe anticiparsi sino all’età del Ferro, quando le antiche comunità protoceltiche acquisirono dall’incredibile “Popolo dei Megaliti” i rudimenti fondamentali del druidismo, una concezione politica e religiosa basata sulla vitalità degli elementi naturali e sull’istituzione di una casta sacerdotale i cui insegnamenti era proibito rivelare per le vie documentali (ma non per il tramite dei versi, in quanto i poeti professionisti erano essi stessi un ramo dell’ordine dei druidi).

In tale ottica, è di certo comprensibile quanto la carenza di informazione scritta abbia contribuito ad ammantare di “mistero” la narrazione cimrico-gaelica: mentre, nel tempo, le uniche testimonianze possibili risultavano quelle postume e/o riferite da terzi (come le poesie bardiche o i commentari greci e latini), la realtà storica veniva facilmente transitata dal racconto al mito, interpolata nel corso del passaparola o comunque arricchita dalla penna di chi ne restituiva notizia.

Se a ciò si aggiunge, inoltre, una naturale vicinanza della tradizione celtica ai territori del ritualismo e del soprannaturale, oltreché una straordinaria attitudine nel far propri i concetti assorbiti dalle diverse popolazioni con le quali veniva in contatto per motivi bellicosi o commerciali, ecco allora spiegato come l’impronta della leggenda divenne legante comune di una trasmissione narrativa altrimenti disgiunta e frammentaria. Non a caso, è in equilibrio fra fantasia e verità che l’autore accompagna il lettore nel decantare le favolose imprese dei Túatha Dé Danann (il Popolo Fatato) e della loro mitica schiatta di eroi e colonizzatori celtici, tra i quali il nobile re dell’Ulster Conor Mac Nessa (nel Ciclo dell’Ulster), il prode capitano dei Fianna Finn mac Cumhal (nel Ciclo Ossianico) o – come non citarlo – la divinità solare Artaius, cui si ispireranno, in seguito, la versione gallese di Kilhwch e Olwen e quella irlandese e cristianizzata del famosissimo Re Artù.

Una numerosità di personaggi ed episodi fantastici, dunque, che oltre a regalarci le atmosfere di un mondo incantato e incredibilmente coabitato da esseri umani e fatati, ci racconta altresì di un potere estremamente chiuso, la cui componente sacrale comportò, essa stessa, l’ineluttabile declino di una cultura senza eguali; “Qualunque sia il suo credo”, così chiosa sul tema T.W. Rolleston, “(…) una casta sacerdotale che rivendica autorità nelle questioni temporali in virtù di un diritto extratemporale è inevitabilmente nemica dello spirito critico, dell’afflusso di idee nuove, della crescita del pensiero laico, dell’autorità umana e razionale che costituiscono le condizioni fondamentali per lo sviluppo di una nazione”.

Nell’appassionante ricerca di prosa e poesie, ancora meglio apprezzabile attraverso le tavole schematiche di tanto in tanto facilitate nel testo, un’antologia letteraria da studiare con la precisione del filologo e lo stupore del bambino. Perché, in fondo a ogni Leggenda, c’è sempre una lezione (di Storia) da imparare.

Fonte: www.illibraio.it

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