L’abito di un libro è la copertina: storia di Irina Roublon

| 12.04.2022

"Possiamo dire che l’abito di un libro è la copertina. E nella copertina de 'Il cielo sbagliato' una donna fugge da un palazzo, indossando un abito da sera. La storia di quell’abito, o meglio della sua creatrice, per certi versi assomiglia a quella della piccola Dora, protagonista del romanzo...". La scrittrice Silvia Truzzi, a partire dalla cover del suo ultimo libro, su ilLibraio.it ripercorre la vita di Irina Roublon


«La copertina di un libro è un manifesto, e la sua missione è di comunicare a chi la osserva che c’è qualcosa di interessante per lui in quel libro»
Bruno Munari

Ha ragione Bruno Munari, che di copertine ne ha disegnate tante, a dire che la copertina è un manifesto. Ma ha ragione anche Giulio Einaudi quando afferma che bisogna che sia in sintonia col contenuto, perché deve essere un richiamo “all’intelligenza del lettore”.

Possiamo dire che l’abito di un libro è la copertina. E nella copertina de Il cielo sbagliato una donna fugge da un palazzo, indossando un abito da sera. La storia di quell’abito, o meglio della sua creatrice, per certi versi assomiglia a quella della piccola Dora, protagonista del romanzo. Ed è anche dolorosamente attuale. Di questa immagine, pubblicata su una rivista di moda americana alla fine degli anni ’40, mi sono innamorata all’istante, l’ho scelta appena ho capito che Il cielo sbagliato sarebbe diventato un libro.

Nei due anni successivi la foto ha superato tutti i confronti con altre papabili copertine: ottavi, quarti, semifinali e finali, a più riprese nel corso della stesura del libro. Niente da fare: quella foto era sempre la più bella. Quando il romanzo è uscito mi hanno chiesto notizie sulla copertina e ho fatto una piccola indagine, nel corso della quale ho scoperto l’incredibile vita di Irina Roudakoff Belotelkin che il mondo ha conosciuto come Irina Roublon, il nome con cui ha firmato anche i suoi quadri.

Irina nasce all’alba del 1913, il primo gennaio a Elisavetgrad, nell’impero russo, da una famiglia di antica nobiltà, discendente da Caterina la Grande. Molto presto la piccola deve scappare dalla sua città – oggi Kirovograd, in Ucraina. Suo padre, il generale Paul Roudakoff, viene ucciso in battaglia durante la guerra civile, la madre muore cinque giorni dopo di tifo. Lei e le sue due sorelle restano sole: Irina vede le sue sorelle morire di fame ma lei si salva. Non è l’unica sopravvissuta della nidiata Roudakoff nell’inferno della rivoluzione: c’è anche il fratello maggiore Paul, che studia in una scuola d’élite e riesce a riparare in Egitto grazie al re inglese Giorgio V (cugino dello zar Nicola II). A otto anni Irina arriva a Mosca, da sola, percorrendo quasi mille chilometri in una fuga pericolosa e disperata: un anno dopo lo zio Volodya Blonsky riesce, tramite l’ambasciata estone, a farla scappare dall’Unione Sovietica. Raggiunge a Tallinn, in Estonia, la zia Anna Blonsky e suo marito, il dottor Lassburg. Nel ’29 raggiunge Ellis Island e si ricongiunge al fratello Paul, che grazie agli sforzi della Croce Rossa era stato portato in America nel ’23, come la nonna. Irina si traferisce nel Connecticut e frequenta la Hartford Public High School, come studentessa in visita.

Ma qualcosa va storto. Un corteggiatore respinto la denuncia e lei ritorna a Ellis Island, con il visto e il futuro in sospeso. Grazie all’intercessione di Fannie Perkins, commissario dello Stato di New York (di lì a poco sarà la prima donna a ricoprire la carica di Segretario del Lavoro) Irina non viene espulsa e anzi riesce a prendere la cittadinanza americana. Torna ad Hartford dove finalmente può coltivare i suoi numerosi talenti: schermitrice (vince il primo premio, nel fioretto, al NE Women’s Championship nel 1937), pittrice, stilista.

La fortuna gira. Incontra Konstantin Taras Belotelkin, come lei un aristocratico russo sopravvissuto alla rivoluzione, e come lei ottimo atleta (e schermidore). È un ingegnere e insieme arrivano a San Francisco durante la seconda guerra mondiale, dove Kostya viene coinvolto nella costruzione delle navi Liberty. Successivamente lo studio di ingegneria di Kostya esegue diversi progetti importanti (progetta anche i sistemi di ventilazione e refrigerazione di alcuni campus universitari).

Tra le passioni di Irina ci sono il balletto e l’opera. Colta, curiosa, accogliente, Irina è una magnifica padrona di casa (celebri le sue feste pasquali, in cui fa rivivere la tradizione delle feste russe della sua infanzia). Insieme a Kostya collezione uova Fabergé e intrattiene gli amici Rudolf Nureyev, Mikhail Baryshnikov e Sergei Leiferkus quando sono in città. È una delle principali collaboratrici dell’Opera di San Francisco, dove ha un palco e non manca mai a una rappresentazione durante la stagione. Nel 1945 apre il suo primo studio-salone, come modista, l’EraBelle Hat Shop. Per il logo della boutique sceglie una maschera da scherma e un paio di spade.

Con l’etichetta Irina Roublon in pochi anni diventa la stilista più importante di San Francisco, vestendo le signore dell’alta società con abiti e cappotti che Christian Dior ammirava moltissimo. Quando un negozio di San Francisco improvvisa uno “shopping al buio”con una vetrina di cappotti in cui campeggia l’indovinello “Dior o Roublon?”, le creazioni di Irina stravincono. La sua maison è in Union Square. Nel 1953 è a Milano per disegnare i costumi de La fanciulla del West, opera di Puccini, in scena alla Scala.

Irina si occupa a lungo di volontariato. Il Saturday Evening Post del 20 agosto 1961 descrive il suo impegno decennale a San Francisco nel programma di terapia della moda dedicato ai pazienti che soffrono di disturbi psichiatrici. Nel 1963 è Advisor per Fashion Lift, un tour di stilisti europei nell’industria della moda statunitense. Ma la pittura continua a essere una grande, e mai abbandonata, passione: dipinge nature morte, i suoi soggetti migliori sono floreali. Fino alla fine degli anni ’80 dipinge, espone, vince premi. Colei che il giornalista Herb Caen aveva ribattezzato “la Chanel della costa occidentale” muore nella sua amatissima casa il 21 gennaio 2009, all’età di 96 anni.

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L’AUTRICESilvia Truzzi, giornalista e autrice, è nata a Mantova e vive a Milano. Laureata in Giurisprudenza, lavora al Fatto Quotidiano dalla sua fondazione, nel 2009. Ha vinto il Premio giornalistico internazionale Santa Margherita Ligure per la cultura nel 2011 e il Premio satira politica Forte dei Marmi, sezione giornalismo, nel 2013. È autrice del programma di Massimo Gramellini, Le parole.

Silvia Truzzi
Silvia Truzzi

Nel 2016 ha pubblicato Perché No (con Marco Travaglio) e nel 2019 C’era una volta la sinistra (con Antonio Padellaro). Con Longanesi ha pubblicato Un Paese ci vuole. Sedici grandi italiani si raccontano (2015) il romanzo Fai piano quando torni (2018), ed è da poco tornata in libreria con Il cielo sbagliato.

Il nuovo romanzo, come abbiamo scritto, narra una storia di emancipazione in una Mantova di incantevole bellezza: con il ritmo e l’intensità di un moderno romanzo storico, Truzzi racconta tre decenni di vita di provincia, dal punto di vista di due donne nate con un’incolmabile differenza sociale. Una storia che ruota attorno al senso delle proprie origini.

Fonte: www.illibraio.it

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